Dio permette la sofferenza – parte 1

Dio permette la sofferenza

Estratto da una lezione di Srila Bhakti Sudhir Goswami Maharaj

Dobbiamo prima comprendere la posizione di Dio, della Divinità, di Kṛṣṇa, e la nostra situazione attuale. Kṛṣṇa è la felicità personificata: ānanda-mūrti, ānando brāhmaṇo vidvāṁ (Tu: 2.4.1) ānanda-mayo ‘bhyāsāt (Vs: 1.1.12). Viene usata ripetutamente la parola ānandam, ovvero estasi, felicità. Quindi, Lui è la felicità, Lui è la felicità personificata. Se ci allontaniamo da Lui, sedotti dalla mania satanica di, come si dice, “preferiresti servire in paradiso o regnare all’inferno?”.

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Se siamo sedotti da questa prospettiva – bhayaṁ dvitīyābhiniveśataḥ syād īśād apetasya viparyayo ‘smṛtiḥ (SB: 11.2.37) – e vogliamo allontanarci dalla terra della dedizione – da Kṛṣṇa – ed entrare nella terra dello sfruttamento, ci allontaniamo dalla felicità personificata ed entriamo nel mondo che è privo di felicità. Non è sat-cit-ānandam, o esistenza eterna; piena consapevolezza e felicità. Ma asat, acit e nirānanda.

La nostra situazione attuale

È temporanea, piena di ignoranza e di condizioni di miseria e sofferenza. Questa è la nostra situazione attuale. Quindi, come se vi trovaste nel deserto lamentandovi che manca l’acqua. È negare il luogo stesso in cui ci si trova e, in questo esempio, essere ripetutamente sedotti dal miraggio dei miraggi a forma doasi; l’illusione di soluzioni a questa condizione. Quindi, il mondo di Kṛṣṇa è pieno di felicità, felicità infinita, esistenza eterna, piena conoscenza e felicità completa – satyam-śivam-sundaraṁ-verità -, buon auspicio e bellezza.

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Ma, se pensiamo che Kṛṣṇa si sia dimenticato di noi o non sia consapevole della nostra posizione, anche questa è un’idea sbagliata. Non c’è mai un momento in cui Egli non sia consapevole della nostra situazione o si dimentichi di noi.

Dio è nel cuore di tutti

Kṛṣṇa dice: «Sono situato nel cuore di ogni essere vivente; nulla mi è sconosciuto».

Nella Bhagavad-gītā – īśvaraḥ sarva-bhūtānāṁ hṛd-deśe ‘rjuna tiṣṭhati bhrāmayan sarva-bhūtāni yantrārūḍhāni māyayā (Śrīmad Bhagavad-gītā: 18.61) – si dice: “Sono situato nel cuore di ogni essere vivente”. Non solo negli esseri umani. Nel cuore di ogni essere vivente: aṇḍāntara-stha-paramāṇu-cayāntara-stham (Bs:5.35); persino negli atomi. Egli è ovunque. Quindi, nulla gli è sconosciuto. Ma nel suo aspetto di paramātmā o di Super Anima, è imparziale; come il sole, la luce del sole è ovunque. La luce del sole illumina il loto, risplende sul loto e risplende sul mucchio di feci; Egli è presente in tutte le situazioni. Ma:

upadraṣṭānumantā ca
bhartā bhoktā maheśvaraḥ
paramātmeti cāpy ukto
dehe ’smin puruṣaḥ paraḥ
(Śrīmad Bhagavad-gītā: 13.23)

La Sua posizione è equivalente a essere neutrale, imparziale, non giudicante. Ma accompagnare ogni essere vivente, a ogni passo del suo cammino. E li ispira, dando suggerimenti. Perché imparziale? Per non interferire con il libero arbitrio dei jīva.

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Il libero arbitrio

Nel Jaiva Dharma, quando Bhaktivinod Ṭhākur pone la domanda: «Se Egli sapesse che abbiamo il potenziale per abusare di questo libero arbitrio, perché ce lo darebbe? Allora ci faccia senza libero arbitrio». Allora non si è diversi da una pietra, se non c’è scelta. A Guru Mahārāj piace fare l’esempio di quando Gandhi stava spingendo per l’indipendenza dell’India. E a un certo punto la risposta dei britannici fu: «Non siete fatti per governarvi da soli. Potreste farne un uso improprio e fare cose sbagliate». Al che Guru Mahārāj dice che Gandhi rispose: «Libertà significa il diritto di sbagliare».

Quindi, il paramātmā è neutrale nel senso di non interferire con il libero arbitrio del jīva. Allo stesso tempo si può dire che manda suggerimenti attraverso la coscienza. Ed è menzionato nel Bhāgavatam e all’inizio della Caitanya-caritāmṛta – il capitolo che Prabhupāda ha chiamato “I maestri spirituali” – come abbia portato gentilezza infinita e misericordia senza causa.

La discesa degli avatāra

Egli scende in questo mondo: ācārya, caitya, vapuṣā; significa: internamente, caitya-guru, la guida interiore ed esternamente, come ācārya, o maestro spirituale; la guida, Śrī Guru. Potremmo non essere in grado di discernere la voce della guida interiore rispetto alla nostra, ai nostri desideri, alle nostre imposizioni. Quindi, sta dicendo che è apparso – è sempre lì come guida interiore – ma esternamente, come guida esterna, Śrī Guru. Inoltre, nel Bhāgavatam ci viene detto che “Ha innumerevoli incarnazioni”. Quanto numerose? “Come le onde dell’oceano”.

Ripetutamente gli avatāra scendono in questo piano per salvare le anime cadute che hanno scelto di regnare all’inferno – per così dire – per cercare di diventare “il Signore di tutto ciò che osservo”. Ciò che David Foster Wallace ha chiamato: “I nostri piccoli regni grandi come un cranio”.

Il Re dei Re

Nell’ “Ozymandias”, Shelley colloca questa specie di mania in un contesto. Nel suo poema, dice: «Incontrai un viaggiatore proveniente da una terra antica, che vide qualcosa di molto particolare. Trovò, nella sabbia del deserto, una statua spezzata di un antico monarca, un monarca di molto tempo fa». E disse: «Lo scultore deve essere stato molto abile a catturare…». Si vede il volto di quel re, la testa è distesa sulla sabbia, inclinata.

La base è rotta, le gambe sono lì con un’iscrizione. Ma la testa giace sulla sabbia. Deve averlo conosciuto bene e scolpito bene, il ghigno arrogante che c’era su quel volto nella sabbia. E legge l’iscrizione alla base della statua, che dice “Io sono Ozymandias, Re dei Re. Guardate il mio regno, o potenti, e disperate!”. E poi “Ma se vi guardate intorno, tutto ciò che vedete è la sabbia infinita del deserto”. Quel regno – qualunque cosa sia stato un tempo – è scomparso da questo mondo. Quindi, cercare di affermarsi qui come “Il monarca di tutto ciò che osservo, il Signore di tutto ciò che vedo”, è una proposta sciocca e ridicola.

Ma cosa ci dicono le pagine del Bhāgavatam, per darci qualche indicazione in merito. Come fa l’anima nella sua posizione originale a navigare nel mondo dello sfruttamento?

fine della parte 1

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