Cos’è la preghiera? (parte 1)

In base ad una sbagliata idea di sé, immaginiamo che raggiungere qualcosa, che sia una persona, un luogo o una cosa, ci renderà soddisfatti e appagati. Dunque, in base ad una percepita mancanza, pensiamo di pregare dio per realizzarla. Ma sappiamo che c’è un tipo inferiore di preghiera:

akāmaḥ sarva-kāmo vā
mokṣa-kāma udāra-dhīḥ
tīvreṇa bhakti-yogena
yajeta puruṣaṁ param

“L’uomo intelligente, che sia pieno di desideri materiali, che sia privo di ogni desiderio o che desideri la liberazione, deve con tutto sé stesso adorare Dio, il Tutto Supremo e assoluto.” (SB 2.3.10)

Nel secondo Canto dello Śrīmad-Bhāgavatam c’è una sezione dedicata all’adorazione dei devatā (déi e dee). Viene disapprovata lì e nella Bhagavad-gītā. Alcuni dicono: «Ma no, le vraja-gopi adoravano Katyayani». Sì, quando sei una vraja-gopī anche tu puoi farlo. Si tartta di raggiungere la bhāva-bhakti prima.

yānti deva-vratā devān
pitṝn yānti pitṛ-vratāḥ
bhūtāni yānti bhūtejyā
yānti mad-yājino ’pi mām

 

Nella Bhagavad-gītā, Kṛṣṇa dice: «Adori i devatā e ottieni quel tipo di risultato». Ma adorare Kṛṣṇa, pregare Kṛṣṇa è completamente un’altra cosa. Eppure, le persone si avvicinano a Kṛṣṇa per soddisfare aspirazioni mondane: akāmaḥ sarva-kāmo vā. Akāmaḥ significa che sei privo di desideri; sarva-kāmo, pieno di desideri; mokṣa-kāma, desideri la liberazione. Qualunque cosa sia, vai in direzione della concezione di Kṛṣṇa. I devoti sanno che una volta che entri in connessione con Kṛṣṇa, dimenticherai tutto ciò. Colui che è akāmaḥ, sarà pieno di kama ma verso Kṛṣṇa. Colui che è sarva-kāmo, pieno di kama mondano, ne sarà rivitalizzato. Colui che è mokṣa-kāma, otterrà un tipo di mokṣa ben oltre quello che desidera o che ha mai potuto concepire.

srila prabhupada smileŚrīla Prabhupāda diceva: «Spesso le persone mi chiedono: puoi mostrare Dio?». Poi diceva: «Ma avete gli occhi per guardare Dio?». Un uomo molto serio ed istruito, con una elevata posizione sociale, voleva fare a Śrīla Sarasvatī Ṭhākura una domanda molto personale. Dunque, due sedie vennero portate in un luogo privato. Śrīla Guru Mahārāj era lì come Jaimini Ṛṣi nella Bṛhad-bhāgavatāmṛta, nascosto tra i cespugli per origliare la conversazione tra Mahārāj Parīkṣit e Uttarā. Dunque, quell’uomo disse a Śrīla Sarasvatī Ṭhākura: «Hai visto Dio?» e Sarasvatī Ṭhākura rispose: «Devi imparare a coltivare come vedere Dio, che io lo abbia fatto è irrilevante per te. Tu devi imparare a coltivare questo tipo di modo di vedere». Quindi viene detto di imparare śāstra-cakṣu: vedere attraverso gli occhi delle scritture. La vista convenzionale non è di alcuna utilità. Vogliamo vedere attraverso gli occhi dei devoti.

Guru Mahārāj ha dato un esempio eccellente: il sistema telescopico. Normalmente pensiamo: sono qui, l’osservatore, e l’oggetto della mia vista è li e qualcosa si mette in mezzo, crea opacità. Ma se ciò che si frappone tra me e l’oggetto della mia visione è una lente, non solo non crea opacità ma conferisce chiarezza. Ciò che può essere distante, lontano, be oltre ciò che può essere visto ad occhio nudo, con una lente verrà avvicinato e e messo chiaramente a fuoco.

Telescope Optics Coin-operated Distant Festival

Premāñjana-cchurita-bhakti-vilocanena: coloro che vedono Kṛṣṇa, se finiamo sotto l’influenza della loro concezione, la lente della loro vista devozionale, allora ciò che di solito è astratto, oscuro e remoto diviene palpabile, accessibile e chiaramente a fuoco. Il sistema telescopico è una serie di lenti del genere, conosciuta come la guru-paramara.

Abbiamo la tendenza a pregare per le cose, o supplicare. Quella non è Bhakti, quella non è devozione. Muktiṁ dadāti karhicit sma na bhakti-yogam, Kṛṣṇa facilmente concede mukti ma è molto raro che conceda la devozione. Il Bhāgavatam dà un livello più profondo di comprensione di quello espresso nella Bhagavad-gītā:

ye yathā māṁ prapadyante tāns tathaiva bhajāmyaham

Così come essi si avvicinano a Me, così io corrispondo a loro. Ma qui il Bhāgavatam va più a fondo, dicendo: a volte, qualcuno viene a chiedere devozione, ma Io so che nel cuore vogliono qualcos’altro, dunque Io do loro qualcos’altro. Poi ci sono devoti che vengono a pregare per cose mondane, ma Io so che nei loro cuori vogliono Me. Quindi io non gliele do.

Parīkṣit Mahārāj chiese a Śukadeva Goswāmī nel Bhāgavatam: «Come mai i devoti di Nārāyaṇa, la cui consorte è Lakṣmī, la dea della fortuna, diventano poveri? Mentre i devoti di Śiva, che vive nudo sotto un albero banyano ed è coperto di cenere, hanno tanta opulenza materiale?».

Yasyāham anugṛhṇāmi hariṣye tad-dhanaṁ śanaiḥ

 

Hari significa colui che porta via. Se Kṛṣṇa intende favorirti, ti porta via tutto. Quindi chiediamoci se veramente vogliamo sottoscrivere una cosa del genere, leggete le clausole scritte in piccolo quando vi accostate ai piedi di loto di Kṛṣṇa.

Srila Bhakti Sudhir Gosvami, 19 Aprile 2012

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