Un detto di Guru Maharaj è: «Siamo interessati alla libertà dei sensi o alla libertà dai sensi?». La libertà dei sensi ha un suono più accattivante perché ci fa pensare: «Finché i miei sensi e la mente sono controllati, io non starò pienamente esprimendo me stesso. Allora ho bisogno della libertà dei sensi, è così che raggiungerò il massimo dell’espressione di me stesso».
Il punto di vista Vedico in merito è la libertà dai sensi. Essere schiavi dei propri sensi non è essere… voglio dire, che razza di maestro è quello? Un maestro illuso. Essere schiavi della mente e dei sensi. Allora l’enfasi si pone sulla libertà dai sensi per permettere l’espressione di sé. Ma è facile da dire. Com’è possibile non essere sedotti da un mondo che è pieno di infinite distrazioni che promettono libertà ed espressione di sé come mezzi per la felicità suprema? Allora, deve essere volontario, non forzato, ma si deve arrivare al punto di realizzare che tutto ciò è superficiale, vuoto, esterno.
E’ come lo shloka di Prahlad:
na te viduḥ svārtha-gatiṁ hi viṣṇuṁ
durāśayā ye bahir-artha-māninaḥ…
(Śrīmad-Bhāgavatam, 7.5.31)
“Le persone fortemente invischiate nella coscienza del godimento materiale, che per questa ragione hanno accettato come loro capo o guru un uomo ugualmente cieco, attaccato agli oggetti esterni dei sensi, non possono capire che il fine dell’esistenza è tornare a Dio, nella nostra dimora originale e d’impegnarci al servizio di Sri Visnu.”
C’è la buccia, come fossimo in una risaia, c’è la buccia, ossia l’involucro, e poi il riso all’interno. Il Bhagavatam, Brahma-stuti, dà un esempio simile: dopo che il riso è stato sbucciato si ha una pila di bucce. Cosa stiamo provando a fare? Prendiamo la buccia e proviamo ad estrarne qualcosa… non è lì. E’ qui il problema. Stiamo assumendo un approccio esterno per soddisfare un bisogno interno.
E’ per questo che un modo di pensare difettoso è che acquisendo, consumando, controllando cose che sono inferiori a noi ci sentiremo soddisfatti e raggiungeremo la felicità e l’espressione di sé. E’ necessario ripensare l’approccio, offrire me stesso al servizio di qualcosa infinitamente più elevato come mezzo di soddisfazione, espressione di sé e raggiungimento della felicità suprema. Allora è per questo che è una guerra, in tal senso: la concezione di Krishna e l’errata concezione di maya.
Ma dobbiamo essere comprensivi in un mondo di illusione che presenta un’infinita serie di seducenti illusioni. Allora cos’altro può aiutarci se non venire in contatto con sadhu, shastra, guru, vaishnava?
brahmāṇḍa bhramite kona bhāgyavān jīva
guru-kṛṣṇa-prasāde pāya bhakti-latā-bīja
(Śrī Caitanya-caritāmṛta, Madhya-līlā, 19.151)
“A seconda del Karma, tutte le entità viventi stanno vagando per l’intero universo. Alcune di loro vengono elevate ai sistemi planetari superiori, ed altre scendono giù verso i sistemi planetari inferiori. Tra milioni di entità viventi vaganti, una molto fortunata ha l’opportunità di associarsi con un maestro spirituale autentico per la grazia di Kṛṣṇa. Per la grazia sia di Kṛṣṇa che del maestro spirituale, tale persona riceve il seme della pianta rampicante del servizio devozionale.”
Bhagyavan, sono molto fortunati, ma avendo stabilito una connessione con un guru e vaishnava… Guru Maharaj lo paragona ad «annegare nell’oceano dell’ignoranza per vite, poi arrivare sulla sponda dell’oceano della verità. E spingere quella persona di nuovo nell’oceano dell’ignoranza è la cosa più atroce che si possa immaginare».